LA TIGRE DI ESCHNAPUR
(Der Tiger von Eschnapur, 1959)
REGIA: Fritz Lang
SOGGETTO: Thea von Harbou
SCENEGGIATURA: Fritz Lang, Werner Jorg Luddecke
FOTOGRAFIA: Richard Angst
MUSICA: Michel Michelet
PRODUZIONE: Regina Production, Rizzoli Film, Central Cinema Company Film
INTERPRETI: Debra Paget, Paul Hubschmid, Walter Reyer
ORIGINE: GERMANIA OVEST/ITALIA/FRANCIA; DURATA: 101′
L’architetto tedesco Harald Berger (Hubschmid) è invitato in India dal Marajà Chandra (Reyer), per realizzare una serie di costruzioni. Nel viaggio di avvicinamento alla reggia del Marajà, Berger salva dall’assalto di una tigre la danzatrice Seetha (Paget), a sua volta invitata da Chandra. Berger si innamora perdutamente della bella indiana, sulla quale però ha messo gli occhi anche il Principe, da poco rimasto vedovo.
Dopo il lungo periodo americano e la decisione di interrompere i rapporti con Hollywood, a Lang arrivò un telegramma dalla Germania che diceva: “Le piacerebbe fare Il sepolcro indiano per me?” Racconta Lang a Bogdanovich: “Nel 1920 la signora von Harbou aveva scritto un soggetto intitolato Das Indische Grabmal, ispirato ad un sogno che aveva fatto in preda alla febbre. Allora ero sotto contratto con un produttore regista che si chiamava Joe May e avrei dovuto dirigere il film per lui.”
Lang e Thea Von Harbou scrissero la sceneggiatura, che piacque molto, ma Joe May decise che Lang non aveva ancora l’esperienza per dirigere un film così complesso e lo girò lui. Così quando nel 1957 Lang ricevette da un produttore tedesco la proposta di girarne un remake accettò con entusiasmo, gli sembrò che “si potesse chiudere un cerchio: uno dovrebbe sempre realizzare i film che ha iniziato.”
Così, dal suo esilio del 1933, Fritz Lang per la prima volta rimise piede in Germania, per volare subito dopo in India, dove avrebbe girato La tigre di Eschnapur e il suo seguito Il sepolcro indiano, colorati ed ipnotici, capolavori del genere esotico-avventuroso.
L. Giribaldi
IL SEPOLCRO INDIANO
(Das Indische Grabmal, 1959)
REGIA: Fritz Lang
SOGGETTO: Thea von Harbou
SCENEGGIATURA: Fritz Lang, Werner Jorg Luddecke
FOTOGRAFIA: Richard Angst
MUSICA: Gerhard Becker
PRODUZIONE: Regina Production, Rizzoli Film, Central Cinema Company Film
INTERPRETI: Debra Paget, Paul Hubschmid, Walter Reyer
ORIGINE: GERMANIA OVEST/ITALIA/FRANCIA; DURATA: 101′
Dopo la rocambolesca fuga dalla reggia di Chandra, una tempesta di sabbia ha sorpreso i due amanti Seetha (Paget) e Berger (Hubschmid) nel deserto. I due vengono soccorsi da una carovana di mercanti. Nel frattempo l’architetto Rhode, maestro di Berger, riceve dal Marajà (Reyer) l’equivoco incarico di costruire uno sfarzoso sepolcro per la sua amata e infedele Seetha. Ma Chandra è all’oscuro di una congiura di palazzo a capo della quale c’è suo fratello maggiore, che ambisce a riprendersi il trono.
Il sepolcro indiano è il seguito perfetto de La tigre di Eschnapur:i due film fanno parte di un dittico perché furono girati come un unico film e poi divisi in due parti per ragioni distributive. La visione indiana di Lang, in un soggetto avventuroso alla Salgari, è intrisa di romanticismo onirico (tale era l’ispirazione della von Harbou, autrice del soggetto originario, che aveva realmente sognato la storia).
E lo stile di Lang, affinato in vent’anni di sintesi hollywoodiane, sfiora la perfezione geometrica, fino ad arrivare all’astrazione. Questo non toglie niente alla sensualità di certe scene, come la danza di Seetha con il cobra, che in Italia fu tagliata perché giudicata troppo osé.
I due film furono un grande successo di pubblico, ma certa critica europea rimase sconcertata. Senza parlare di quello che successe negli Stati Uniti: “L’hanno massacrato. Ciascuna delle due parti durava un’ora e quaranta e qui il distributore le ha riunite insieme, ricavandone un film unico di un’ora e mezzo. Può immaginare il risultato.” (F. Lang a P. Bogdanovich).
L. Giribaldi
IL DIABOLICO DOTTOR MABUSE
(Die 1000 Augen des Dr. Mabuse, 1960)
REGIA: Fritz Lang
SOGGETTO: da un’idea di Jan Fethke, basata sul personaggio creato da Norbert Jacques
SCENEGGIATURA: Fritz Lang, Heinz Oskar Wuttig
FOTOGRAFIA: Karl Loeb
MUSICA: Bert Grund
PRODUZIONE: F.Lang per C.C.C. Film-Critérion Films-Cei-Incom-Omnia
INTERPRETI: Wolfgang Preiss, Dawn Adams, Peter Van Eyck, Andrea Checchi, Gert Frobe
ORIGINE: GERMANIA OVEST/ITALIA/FRANCIA; DURATA: 104′
Il reporter Barter viene ucciso nel traffico con un ago d’acciaio sparato da un fucile ad aria compressa, poco prima di fare importanti rivelazioni nella sua rubrica televisiva. Il commissario Kras (Frobe) viene contattato dall’inquietante veggente cieco Cornelius (Preiss), che gli fornisce particolari dell’omicidio ignoti agli inquirenti. Ad un poliziotto le modalità dell’assassinio ricordano quelle usate dal pericolosissimo dottor Mabuse, genio del crimine, ma morto in manicomio nel lontano 1933.
Terzo e conclusivo capitolo della saga dedicata al dottor Mabuse (gli altri due film sul supercriminale risalgono al 1922 e al 1933), Il diabolico dottor Mabuse è anche l’ultimo film della lunga carriera di Fritz Lang. Lang resuscitò Mabuse grazie all’insistenza del produttore Brauner: “Ho già ucciso quel figlio di puttana!”, era stata la sua prima risposta.
“Così girare il film diventò una specie di sfida con me stesso – pensai anche che poteva essere interessante mostrare un criminale come quello quasi trent’anni dopo e dire ancora certe cose sulla nostra epoca – il pericolo che la nostra civiltà venga spazzata via e che sulle sue macerie possa essere costruito qualche nuovo regime criminale. Ma, vede, io non ho fatto questi film perché pensavo che fossero importanti, ma perché speravo che se avessi portato a qualcuno un grande successo finanziario avrei avuto di nuovo l’opportunità – come era successo con M – di lavorare senza restrizioni.” (ultime righe del libro Il cinema secondo Fritz Lang di P. Bogdanovich).
L. Giribaldi
IL DISPREZZO (Le mépris, 1963)
REGIA: Jean-Luc Godard
SOGGETTO: dall’omonimo romanzo di Alberto Moravia
SCENEGGIATURA: Jean-Luc Godard
FOTOGRAFIA: Raoul Coutard
MUSICA: Georges Delerue
INTERPRETI: Brigitte Bardot, Michel Piccoli, Fritz Lang, Jack Palance
PRODUZIONE: Carlo Ponti, Georges de Beauregard
ORIGINE: Francia/Italia; DURATA: 105’
Lo scrittore Paul Javal (Piccoli) è convocato a Cinecittà dal produttore americano Jerry Prokosch (Palance) per riscrivere alcune scene dell’Odissea, film che si sta girando fra Roma e Capri per la regia di Fritz Lang (lo stesso Lang). Il produttore è affascinato da Camille (Bardot), la giovane bellissima moglie dello sceneggiatore.
Il disprezzo è il sesto lungometraggio di Godard, la sua più grossa produzione fino a quel momento, dieci volte il budget di Fino all’ultimo respiro. Godard rivoluziona il testo moraviano, sbilanciando la vicenda in un percorso intimo e intimamente cinematografico, a cominciare dal geniale inizio dove, in un lungo piano-sequenza (il film sarà realizzato con 149 piani-sequenza) composto da un carrello rettilineo, il complice direttore della fotografia Coutard dirige la cinepresa mentre la voce di Godard narra (niente cartelli scritti) i titoli di testa fino a citare il maestro André Bazin.
Vertiginosi i rimandi fra cinema e realtà: Piccoli rappresenta lo stesso Godard, mentre la Bardot è Anna Karina e i loro dialoghi sono quelli della crisi Godard-Karina. E Lang è Lang, in lotta perenne con i produttori, ma anche lo stesso Godard, in conflitto con le logiche del cinema commerciale. Difatti il film fu considerato invendibile da Carlo Ponti che lo massacrò togliendo circa 20 minuti, sostituendo i titoli narrati da Godard con banali cartelli, cambiando perfino la musica romantica di Delerue con motivi jazz di Piccioni. Ma B.B. considerò Il disprezzo l’unica opera d’arte della sua carriera.
Fritz Lang, nato a Vienna nel 1890, all’inizio degli anni Sessanta, dopo aver diretto Il diabolico dottor Mabuse, stava tentando di farsi produrre un nuovo film in Germania da un suo soggetto di argomento criminale-poliziesco (film mai realizzato). Aveva dunque 73 anni quando fu chiamato da Godard ad interpretare Il disprezzo, l’unico film della sua lunghissima carriera in cui Lang compare come attore e in un ruolo incredibilmente significativo, quasi un coronamento della sua storia cinematografica. Nel romanzo di Moravia infatti il regista tedesco (mai esistito) si chiama Reinghold, aveva iniziato a girare film nella Germania pre-nazista ma “non era certo della classe dei Lang e dei Pabst”. Invece Godard volle che il regista che stava per girare una versione moderna de L’Odissea, si chiamasse Fritz Lang e lo interpretasse lo stesso Fritz Lang!
Così il regista viennese ne parlava a Bogdanovich: “Dopo che Godard mi convinse a interpretare la parte, che è molto diversa dal personaggio del libro, mi dissi: Non dirigerò questo film, non darò consigli a Godard, sono scritturato come attore e mi comporterò come tale. Se mi chiede consiglio glielo darò.
A volte mi chiedeva consiglio, di solito no. Per esempio, ho una lunga conversazione con il marito (Piccoli) nella quale lui parla della strage dei pretendenti di Penelope e siccome è geloso, difende le ragioni di Ulisse. Godard non era soddisfatto delle sue idee e mi disse: «Fritz, hai delle idee su come finire questo film?». Avevo scritto una cosa senza mai avere l’occasione di usarla e gli dissi: «Che ne diresti se Lang dicesse: L’omicidio – uccidere – non è una soluzione». Gli è piaciuta moltissimo. Ecco come lavoravamo: è stato molto piacevole. Credo che Godard sia la più grande speranza del cinema.” (da Chi diavolo ha fatto quel film? – Conversazioni con registi leggendari di Peter Bogdanovich)
L. Giribaldi
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